In
una scena di un film italiano, poco più che contemporaneo, appare un'immagine, in
primo piano, di un lato B femminile ben fatto, insomma appetibile a tutti gli
intenditori di capolavori naturali; il billboard
accompagna il visual con una scritta
recante un unico termine storpiato, “Cooltura”:
la trama del film identifica, con essa, tutto ciò che gli uomini intendono per
cura eccessiva e attenzione esagerata del proprio corpo. La cartellonistica
risulta talmente provocatoria da far rabbrividire la rivoluzionaria protagonista,
amante della cultura e convinta che l’essere prevalga sull’apparire. La
protagonista, in realtà, sebbene dapprima rimanga restia alle tentazioni del
consumismo, alla fine cede inevitabilmente, trasformandosi, ben presto, in una
ragazza alla moda, preoccupata del vestire e del make up. La fine del film
genera uno stereotipo diverso di acculturata, che non è dato svelare tra queste
righe perché, sennò, rovinerebbe la suspance cinematografica.
In
realtà, cool è un termine oramai
insito in quello che molti chiamano l’intangliano
che rende la nostra bella madre lingua, molto fresca, giovanile, alla moda,
in una parola figa. Sebbene ai puristi italiani la storpiatura in Cooltura possa far venire la pelle d’oca,
in realtà, il film mostra - tra le righe, s’intende - come la cultura, in
realtà, non sia morta, ma veste i panni di una giovane ragazza, che si scopre
al mondo con un look diverso. L’uomo di cultura non è più un Leopardi rintanato
in quale stanza buia di una nuova Recanati; la cultura, adesso, ha iniziato una
guerra, non più all’ignoranza, come accadeva molti anni or sono, bensì al
consumismo fallace e contro l’innovazione, usando le medesime armi, in altre
parole, il cool; il motto
perseguibile sarebbe: apprezzare la cultura rende fighi. La battaglia non è più
solo local ma glocal, poiché la globalizzazione ha abbattuto tutte le mura delle
isole del sapere, facendo dell’uomo, un socratico assetato di nuove conoscenze.
In particolar modo, quindi, la cultura italiana deve, da una parte,
sopravvivere alla tirannia di un’Anglo-Saxon
culture che appare meno old e,
nello stesso tempo, diventare appetibile per il XXI secolo. Sviluppare queste
due nuove armi da guerra, significherebbe ideare una strategia marketing
vincente, che permetta alla cultura di battere il mercato concorrente.
Come
si fa ad ideare una nuova strategia? Sarebbe più sensato parlare di modi di
comunicazione più giovanili, più nuovi, capaci di raggiungere i piccoli, i meno
piccoli ed i meno giovani, facendo loro scoprire la bellezza della cultura o
delle culture, che dir si voglia. Il XXI secolo dovrebbe comprendere che oltre
alla PSP, oltre all’iPHONE, c’è un mondo egizio, greco, latino che lo ha
preceduto ed un altro fatto di artisti e geni contemporanei che esprimono la
bellezza in una fotografia, in una pagina word, o anche in una bella formula
matematica. Bisognerebbe dare l’opportunità a tutte le giovani menti di
dimostrare e diffondere il loro modo di vedere la cultura, non ostacolarle, ma
renderle come un Gabbiano Jonathan Livingston, libere di planare per aria. Adeguando
i canali di trasmissione della cultura, impiegando la tecnologia più avanzata,
si attiverebbe, nella mente di tutti, un processo che porterebbe alla vittoria
dell’erudizione; si salverebbero, così, il campanilismo e la xenofilia, cosicché
la cultura diventerebbe cool, proprio
come gli avversari.
Se
la gente desidera ardentemente comunicare al mondo le proprie emozioni, i pensieri
e le sensazioni, tanto da far diventare i social
network una seconda casa, una seduta dallo psicologo, un megafono capace di
raggiungere le vette più innevate dei monti più lontani, perché non permettere
alle stesse persone di condividere la loro cultura su un cultural network? Scriverebbero professori, dottori, falegnami,
pittori ed imbianchini, pasticceri, tutti condividendo con il mondo il proprio
sapere in maniera originale, o perlomeno personale. Non è forse vero che le
culture sono miliardi quante le persone su questo mondo?
Non
si è mai sentito che qualcuno scarichi un app
per comprendere meglio la lingua italiana, per scoprirne la bellezza dello
scrivere bene, ma centinaia di ragazzi hanno sullo schermo del proprio smartphone almeno un app che tutti, proprio tutti, almeno una
volta, abbiamo considerato un’idiozia, ma alla fine abbiamo ceduto e l’abbiamo scaricata.
Si è fortunati se, oggigiorno, si trova ancora “ti amo” scritto così come la
lingua italiana lo prevede, ma forse non si sa che un testo scritto bene è
meglio di mille post su Facebook. La cultura della lingua
italiana rende infinite le nostre emozioni, tante quanto il numero di lemmi
all’interno del vocabolario. Tutte le culture sono uguali e tutti meritano il
giusto spazio, allora perché solo una piccola parte riesce a raggiungere gli
abitanti del nuovo world web e
diventare cool e la restante, invece,
no? Inventiamo un app che aiuti tutti
a scrivere e a parlare meglio, pronta all’uso per suggerimenti e correzioni 24
ore su 24.
Tempo
fa si sentiva parlare di un gioco che girava sulla rete, per il quale bisognava
creare una vita alternativa ambientata in un secolo a scelta. Probabilmente,
coloro che hanno giocato non si sono preoccupati di andare a studiare la storia
medievale, moderna, o greca, o persino contemporanea, ma il gioco stesso doveva
regalare spunti di approfondimenti per rendere il giocatore più interessato.
Del gioco non vi sono più tracce. Probabilmente è scaduto in discussioni e
metodi arcaici di trasmissione che hanno fatto annoiare persino il cittadino
modello. La storia non è esclusivamente legata al passato, un gioco con
informazioni immediate e ricostruzioni impeccabili renderebbe attuale e
piacevole persino la cattività avignonese.
Certo
la bellezza di andare in libreria e inebriarsi con il profumo dei libri nuovi è
un’esperienza che non ha paragoni, ma per tutto il resto c’è il web che
proclama il risultato di uno a zero per la cultura.
Questo articolo lo amo!
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